Quante insonnie ci sono in una notte? Abbasso la tapparella che tartaglia come i vecchi treni di una volta, quelli con i vagoni rossoruggine della mia infanzia. E ripenso alle ginocchia sbucciate, alle fughe in montagna, alle mani che scalavano vecchi alberi di ulivo dal quale pendeva una gracile altalena, alle mele cotogne e il pane fatto in casa nel forno a legna. Guardavo la fumata nera salire spedita in aria e scontrarsi contro le ‘mie’ nuvole istoriate. Pareva una guerra, come in una scacchiera: il bianco e il nero, il bene e il male. Chi vincerà? Poi mi distraevo, ero troppo piccola e irrequieta, lasciando la battaglia a metà per giocare a pallone o schizzar via con la mia graziella grigia e pedalare fino a sentire scoppiarsi il cuore. C’erano salite che non mi spaventavano e discese che imboccavo sfidando il vento. Ero bambina, una bambina che avevo dimenticato. A cui piaceva l’odore del vento.
Non ho camminato nei tuoi sogni,
nè mi sono mostrato in mezzo alla folla,
non sono apparso nel cortile
dove pioveva o meglio cominciava
a piovere (questo verso
lo cancello e non lo sostituirò),
era allettante credere, come uno stupido,
che ti avrei incontrato presto,
eri tu che mi apparivi in sogno
(e mi prendeva una dolce tenerezza),
mi sistemavi i capelli sulle tempie.
Quell’autunno perfino le poesie
in parte mi riuscivano bene
(però mancava sempre un verso o una rima
per essere felice).
– Boris Ryzyi, Non ho camminato nei tuoi sogni