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Tutto il resto è noia

Il latte stamattina l’ho lasciato nella tazza, non ho molta fame, credo che mangerò una frutta e poi mi metterò al lavoro.  Nel fondo del caffè non leggo alcun futuro, e le linee delle mani sono spesse e irregolari. Fuori piove, poi d’improvviso smette, e la pioggia si sostituisce agli ululati di vento e a qualche smorfia di sole. Il telefono squilla: un venditore di telefonia, mia madre, un paio di appuntamenti di lavoro… intanto le campane suonano, il cane abbaia e un testimone di Geova suona al citofono per vendermi fede e religione. Non sarò scortese, nemmeno con i miei pensieri. Li lascio in fondo alla tazza, qualcuno a riposare sul divano e altri poggiati sulla sedia vicino alla tv. Mi metto al lavoro immaginando che tutto vada bene, anche se ho il ronzio di sogni in notturno che vogliono raccontarmi qualcosa. Dovranno prendere un appuntamento.

Tutto il resto è noia

«La mia parrocchia è una parrocchia come tutte le altre. Si rassomigliano tutte. Le parrocchie d’oggi, naturalmente. Lo dicevo ieri al curato di Norenfontes: «Il bene e il male debbono equilibrarsi; senonché, il centro di gravità è collocato in basso, molto in basso. O, se lo preferite, si sovrappongono l’uno all’altro senza mescolarsi, come due liquidi di diversa densità». Il curato m’ha riso in faccia. È un buon prete, affabilissimo, molto paterno, che all’arcivescovado passa addirittura per un ingegno forte, un po’ pericoloso. I suoi motti di spirito formano la gioia dei presbitèri, ed egli li sottolinea con uno sguardo che vorrebbe essere vivacissimo e che in fondo io trovo così frusto, così stanco da mettermi voglia di piangere.

La mia parrocchia è divorata dalla noia, ecco la parola. Come tante altre parrocchie! La noia le divora sotto i nostri occhi e noi non possiamo farci nulla. Qualche giorno forse saremo vinti dal contagio, scopriremo in noi un simile cancro. Si può vivere molto a lungo con questo in corpo» – Diario di un curato di campagna, Georges Bernanos