Le ragioni della collera le trovi sparse sulla scrivania. Non ho avuto tempo per sistemarle. Ma, sinceramente, non saprei da dove cominciare. Avrei dovuto disfarmene da tempo. Ci sono macchie di caffè ovunque, alcune parole non riesco più a leggerle. Le ragioni della collera sono ancora qui, un manuale che non ho mai finito di scrivere. Come i dieci comandamenti di Kieslowski, ricordi quando ne parlavamo tra un bicchiere di vino e uno sguardo profondo scambiato nel tuo divano. La mia testa sulle tue gambe, la tua mano sul mio viso. Amore mio, dicevi. Amore mio dicevo. Nei tuoi occhi neri e smarriti mi smarrivo, non accorgendomi della pioggia. Nera.
Ti amo per le ciglia, per i capelli, ti dibatto nei corridoi
bianchissimi dove si giocano le fonti delle luci,
ti discuto a ogni nome, ti svello con delicatezza di cicatrice,
ti vado mettendo sulla testa ceneri di lampo e nastri
che nella pioggia dormivano.
Non voglio che tu abbia una forma, che tu sia
precisamente ciò che viene dietro la tua mano, Continua a leggere Per di più ti amo, e fa tempo e freddo [le ragioni della collera]→
«Ci sono fiumi metafisici, lei vi nuota come quella rondine sta nuotando nell’aria, girando allucinata attorno al campanile, lasciandosi cadere per poi alzarsi più alta di slancio. Io descrivo e definisco e desidero quei fiumi, lei vi nuota. Io li cerco, li trovo, li guardo dal ponte, lei vi nuota. E non lo sa, proprio come la rondine. Non ha bisogno di sapere come me, può vivere nel disordine senza che alcuna coscienza di ordine la trattenga.» Il gioco del mondo (Rayuela) – Julio Cortázar
Ti ho fatto promettere che non leggerai questo blog, mi sono fidata, l’ho sempre fatto, anche dopo avermi mentito. Mi sono fidata delle tue spiegazioni, che sgranavano ragioni tanto lontane da me che pensavo di perdermi; ma quando ci siamo date un’altra possibilità (era il marzo delle perdite, quel terribile marzo di lutti e storie spezzate, che mangiavano manciate di respiro direttamente dalla mia pelle) ti ho promesso che avrei cercato di guardare le cose attraverso i tuoi occhi. A volte è difficile, vertigini e vuoti di memoria. Come oggi in cui mi sono sentita dentro una scatola, e poi dalla scatola sono uscita, mi sono spinta attraverso la cima di un faro a strisce consumate bianche e rosse, come quello che mi è sempre sembrato di vedere in una delle punte rocciose nella mia isoladellecorrenti. Tutto d’un fiato: la maniglia, la porta, in casa non c’è nessuno, le scale, il muoversi attorno, il respiro, ancora qualche passo (uno dopo l’altro), il legno che cigola, le mani indolenzite, il naso su a guardare la cima, le finestre schiacciate dalla salsedine, l’ululato di un vento lontano che ho chiuso dentro il barattolo, il parapetto del faro col suo occhio semichiuso che ascolta le correnti di quest’isola. Mi spingo sulle punte dei piedi, strizzo gli occhi nell’atto di vedere (ho indossato il tuo sguardo, sì te l’ho promesso), ma non vedo, non riesco a vedere nulla. Vertigini e vuoti di memoria… Che ci faccio quassù?
Se della tua bocca non so che la tua voce
E dei tuoi seni solo il verde o l’arancione delle tue bluse, come posso avere la presunzione di
avere di te più della grazia di un’ombra che passa sull’acqua.
Nella memoria porto gesti, la moina che tanto felice mi faceva,
e questo modo di restartene in te stessa, con il curvo riposo
di un’immagine d’avorio.
Non è gran cosa questo tutto che mi resta.
In più opinioni, collere, teorie,
nomi di fratelli e sorelle,
l’indirizzo postale e il numero del telefono,
cinque fotografie, un profumo di capelli,
una pressione di mani piccole fra le quali nessuno direbbe
che mi si nasconde il mondo.
Questo tutto me lo porto senza sforzo, perdendolo poco a poco.
Non inventerò l’inutile menzogna della perpetuità,
meglio passare i ponti con le mani
piene di te,
tirando via a piccoli pezzi il mio ricordo.
Dandolo alle colombe, ai fedeli passeri,
che ti mangino fra canti, arruffio e svolazzi.