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Questione di punteggiatura

Una libertà oscena, gioiosa, nuda, che nella sua fantasia si ergeva come un’immensa cattedrale spaziosa, magari in rovina, magari scoperchiata, spalancata verso la volta del cielo, nella quale lui e lei sarebbero ascesi in assenza di peso verso un poderoso abbraccio per perdersi, per annegare in ondate di purissima estasi dimentiche di tutto. Era talmente semplice! Come mai non vi si trovavano già, e invece stavano ancora seduti lì, intrappolati da tutte le cose che non sapevano dire, o che non osavano fare? – Ian McEwan, Chesil Beach

Coffee e thoughts

E chiudi quella dannata finestra. Mi urla qualcuno dal fondo della stanza. E’ un residuo di me che si ribella al rumore. Ho una certa rigidità alle dita oggi che mi infastidisce. Il tempo è umido e freddo e si appiccica alle parole. Faccio fatica a scrollarmele di dosso, fanno girotondo, ‘giro intorno al mondo‘. Scansano gli impegni in agenda e mi trascinano altrove, ma non ho tempo. Mi dicono: il tempo non esiste. Se morissi domani, dopotutto – continuano a dirmi -, dovresti cessare di far tutto, e quello che ti sembrava improrogabile non lo sarebbe più. Cesserebbe. Così quella sensazione che niente possa essere rimandato. Quella sensazione che ti schiaccia e avvilisce. Dopotutto. Mi interrogo sulla punteggiatura e risalgo la china, sino all’ultima la parola, che è anche la prima. Mi chiedo se sia stata messa in maniera corretta, e ripenso a McEwan. Fottutamente bravo, mi dico. La mia punteggiatura non mi convince. Dovrei aprire la finestra e lasciare che spifferi di aria fredda si intrufolino nella stanza, credo possano essere un buon deterrente alle divagazioni, che stamattina non lasciano molto spazio ad altro. Dovrei prendere righello e matita e tracciare di nuovo le linee, appuntare a margine del foglio annotazioni valide, progetti, progettualità e pianificare la mia vita, crollata come un castello di carte. Ti sei presa una lunga pausa, lei mi ha detto. Era inevitabile, ha aggiunto. Non tutti possono prendersi delle lunghe pause come hai fatto tu, biascica ancora come se io non lo sapessi, come se  non sapesse che quella lunga pausa [Io] l’ho presa per lei. Mastica parole che parlano di me, come se non le interessasse. Una punteggiatura sbagliata cambia il senso della frase. E penso alle pause.

Metto due punti, aggiungo qualche virgola e vado a capo. I punti poi vedremo dove metterli.

[Digressione] Com’era quella storiella? «Vado a mangiare nonna» – «Vado a mangiare, nonna». Un articolo su l’arte della punteggiatura, pubblicato su Avvenire. E la virgola salvò la vita a una nonnina.
Una virgola tra me e il resto salverà la mia? Almeno oggi.

http://youtu.be/mRStN5hOqQ4

Il punto di non ritorno

«Desiderio di cose leggere/ nel cuore che pesa/ come pietra/ dentro una barca – / Ma giungerà una sera/ a queste rive/ l’anima liberata: […] salperà – […] per un’alta scogliera/ di stelle» – Antonia Pozzi, da Desiderio di cose leggere, 1° febbraio 1934

Rosangela Betti, Barbara, 1984
Rosangela Betti, Barbara, 1984

Ho messo play, If I we be wrong riempie la stanza. Ho iniziato a collezionare musica nuova da quando ti ho conosciuta, per mostrarti qualcosa di bello, tu che ami la musica e me la ridavi come un regalo lasciato sul comodino. Ma sono tornata su questo foglio per un’altra ragione e solo per pochissimi istanti, perché mi sono presa una piccola pausa. Lo so è tardissimo, ma devo consegnare un lavoro domattina anche se al momento non riesco a concentrarmi del tutto, forse saranno i piedi gelati, così tanto che sento bruciare la pianta in alcuni punti e in altri la sensibilità è scarsa. Sono scalza e non ho nessuna voglia di cercare dei calzini. Ricordo quando li prendevi tra le tue mani grandi e li scaldavi, e mi coprivi la notte. Chissà se  mi hai mai guardata dormire con quella tenerezza che gli amanti si scambiano. Cerco di catalogarli i ricordi per lasciarli da qualche parte stanotte. Ho scatole pronte, chissà quante ce ne vorranno. Chissà se dovrò mettere fuori anche un’etichetta. Ma perdo il filo, filo… devo smetterla. Ed è questo il punto, ho letto la nota di prima ed è pazzesco questo inconsapevole altalenarsi nel rivolgermi a te e poi distogliermi. Si sente la lotta e l’abbandono. Ritorna l’immagine di quelle mani che si lasciano. Ritorna, ritorni. Forse potrei lasciarmi solo del tempo e rivolgermi a te ogni tanto, quando sarà inevitabile coglierti nelle cose che mi ricorderanno di un noi che dopotutto non è stato coniugato abbastanza. Eppure sembra avere tantissimo dentro. Eppure sembro avere tantissimo dentro.
Lo so, non sono ancora pronta, avevi ragione tu sulla storia del pensiero e dell’assenza, del fatto che anche se ci saranno altri e altre il pensiero rimarrà altrove. Come un marchio indelebile, e chissà per quanto. Lo so, ci sto provando, ma non sono ancora pronta. Mi sto violando, costringendomi solo per farmi del male, perché sarà quello il punto di non ritorno e io non potrò fare nulla, così darò una scusa a entrambe. Scavalco la linea. Così… Domani.

Vado a bere, il freddo ormai non lo sento più.

http://youtu.be/jGuqb1O5-5s