[…] molti cuori dicono, Voglio,
Margaret Atwood, La donna che non sapeva vivere col cuore difettoso
Voglio, voglio. Il cuore mio
è più ambiguo, seppur
non doppio come pensai un tempo.
Lui dice, Voglio, No, non voglio,
Voglio, poi una pausa. […]
Passavo di qui. Con il mio cuore difettoso avvolto sotto il braccio. E allora mi sono seduta, ho ripassato a memoria il mio futuro. E poi in una delle tasche di questo abito avuto in prestito, che oggi indosso (e non so domani), l’ho trovata. La vecchia filastrocca del dove, del poi, del mai, dell’adesso. La poesia della donna che non sapeva vivere col cuore difettoso. E chissà perché io questa poesia l’abbia sempre vista con un ‘di’ in mezzo tra ‘sapeva’ e ‘vivere’.
La donna che non sapeva (di) vivere con il cuore difettoso potrei dirvi per filo e segno cosa indossa, dove va, verso cosa volge lo sguardo, cosa stringe al petto, perfino la data sul giornale che porta con sé. Sappiate che è domenica. Sappiate che ci sono parole cerchiate, che ci sono piccoli angoli piegati. Dentro la sua borsa un piccolo mondo caleidoscopico: una penna; un taccuino che non ha più pagine vuote; le macchie di inchiostro sulla fodera colpa di una biro sanguinolenta lasciata incustodita; gli scontrini del (in ordine): supermercato; macelleria; cartoleria; una spilla da balia; un piccolo Olaf di gomma dimenticato da sua nipote; una manciata di trucchi e pennelli; le chiavi di casa e dell’automobile che non prende mai. Indossa anche un cappello. Una maglia girocollo in tweed, color verde acido. Sì, è una giornata di fine inverno o inizio primavera. Sì è sola, si muove verso qualcuno evitando piccole pozzanghere che resistono alle lusinghe del sole. Potrei dirvi a lungo di lei. Seguirla fino al suo appuntamento. Tergiversare anche sul volto della panettiera dove ritirerà un pacchetto ordinato alle 12:00 del giorno prima.
Potrei oggi fermarmi qui e domani decidere di aggiungere altri particolari. Allungare questo scritto sino all’infinito. Perché infinita è la donna che non sapeva di vivere col cuore difettoso.
La sua storia potrebbe non avere fine, proprio come non ha avuto inizio.
La donna che non sapeva di vivere col cuore difettoso. Arriva a casa, si porta la mano sul plesso solare. La donna che non sapeva di vivere col cuore difettoso. Poi l’ho scoperto.
Non dico il simbolo
d’amore, quello di zucchero
per decorare torte,
il cuore fatto per
spezzarsi o appartenere;
dico il pezzo di muscolo
che si contrae come un bicipite scuoiato,
blu violaceo, unto,
cartilaginoso, questo isolato
eremita rintanato, nuda
tartaruga, questa boccata di sangue,
per niente invitante.
I cuori fluttuano nei loro
densi oceani di non luce,
umidoneri e baluginanti,
le quattro bocche palpitanti come pesci.
Il cuore batte, dicono:
è naturale, la lotta abituale
del cuore per non affogare.
Ma molti cuori dicono, voglio,
voglio, voglio. Il cuore mio
è più ambiguo, seppur
non doppio come pensai un tempo.
Lui dice, voglio, no, non voglio,
voglio, poi una pausa.
Mi forza ad ascoltarlo,
e poi di notte il terzo occhio
a infrarossi resta aperto
mentre gli altri due dormono
ma si rifiuta di dire cos’ha visto.
È un disturbo persistente
nelle orecchie, una falena in gabbia, un tamburo floscio,
un pugno di bambino contro
una rete a molle:
Voglio, no, non voglio.
Come si vive con un cuore tale?
Da tempo ho smesso di cantare
per lui, non sarà mai quieto o soddisfatto.
Una notte gli dirò:
Fermati, cuore,
e lo farà.
Margaret Atwood, tratta da “Eating Fire: Selected Poetry 1965-1995