Le ragioni della collera le trovi sparse sulla scrivania. Non ho avuto tempo per sistemarle. Ma, sinceramente, non saprei da dove cominciare. Avrei dovuto disfarmene da tempo. Ci sono macchie di caffè ovunque, alcune parole non riesco più a leggerle. Le ragioni della collera sono ancora qui, un manuale che non ho mai finito di scrivere. Come i dieci comandamenti di Kieslowski, ricordi quando ne parlavamo tra un bicchiere di vino e uno sguardo profondo scambiato nel tuo divano. La mia testa sulle tue gambe, la tua mano sul mio viso. Amore mio, dicevi. Amore mio dicevo. Nei tuoi occhi neri e smarriti mi smarrivo, non accorgendomi della pioggia. Nera.
Ti amo per le ciglia, per i capelli, ti dibatto nei corridoi
bianchissimi dove si giocano le fonti delle luci,
ti discuto a ogni nome, ti svello con delicatezza di cicatrice,
ti vado mettendo sulla testa ceneri di lampo e nastri
che nella pioggia dormivano.
Non voglio che tu abbia una forma, che tu sia
precisamente ciò che viene dietro la tua mano,
perché l’acqua, considera l’acqua, e i leoni quando si
dissolvono nello zucchero della favola,
e i gesti, questa architettura del nulla,
che accendono le loro lampade a metà dell’incontro.
Tutta mattina è la lavagna dove ti invento e ti disegno,
pronto a cancellarti, così non sei, neppure con questi
capelli lisciati, questo sorriso.
Cerco la tua somma, il bordo della coppa
dove il vino è anche la luna e lo specchio,
cerco questa linea che fa tremare un uomo in una galleria di museo.
Per di più ti amo, e fa tempo e freddo.Julio Cortàzar, da “Le ragioni della collera”